E’ possibile conciliare il diritto alla salute con la tutela dei dati personali? Secondo il garante: «I diritti digitali possono subire limitazioni in nome del bene collettivo».

Partiamo da un assunto: il (e non “la”, visto che è un Regolamento, cioè maschile) GDPR non vieta, e non ha mai vietato, il trattamento dei dati personali; regolamenta, semmai, il loro utilizzo a tutela degli interessati, cioè dei proprietari di tali dati.

Detto questo, una breve considerazione sulla consapevolezza degli utenti, gli interessati, cioè tutti noi: ci preoccupiamo solo ad intermittenza delle problematiche legate alla privacy, peraltro confondendo sistematicamente la tutela dei dati personali con il diritto alla nostra riservatezza, ma sfido chiunque, ad esempio, a dirmi cosa contengono le informative delle grandi piattaforme dei giganti del web a cui, con tanta leggerezza, cediamo i nostri dati, le nostre informazioni.

Detto questo, sul modello di alcuni stati asiatici, tra le strategie del governo per contenere il contagio da coronavirus ci sarebbe il c.d. tracciamento digitale dei contatti, cioè, banalizzo, l’uso dei cellulari e degli altri dispositivi mobili, per tenere traccia degli eventuali contatti con persone già identificate come “infette”.  A questo punto torniamo alla domanda iniziale: come si assicura la tutela della privacy e dei dati personali?

Secondo Antonello Soro, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali, in una intervista rilasciata ad Andrea Iannuzzi, “La Repubblica” – 26 marzo 2020: “Non si tratta, di sospendere la privacy, ma di adottare strumenti efficaci di contenimento del contagio, pur sempre nel rispetto dei diritti dei cittadini”. “La disciplina di protezione dei dati coniuga esigenze di sanità pubblica e libertà individuale, con garanzie di correttezza e proporzionalità del trattamento. E ancora: “La nostra disciplina offre gli strumenti per minimizzare il pericolo di abusi, secondo i principi di precauzione e prevenzione, che impongono misure di sicurezza e garanzie di protezione dati già nella fase di progettazione e impostazione della struttura tecnologica. Rispettando questi criteri, si può valorizzare al massimo grado l’innovazione”.

Dunque gli strumenti normativi ci sono. Esistono peraltro già anche gli strumenti tecnologici.

La maggior parte delle app presenti sui nostri dispositivi mobili monitorano già i nostri spostamenti, si va dai servizi di food delivery a quelli per la geolocalizzazione del cellulare e molti altri ancora: tutto questo già con il nostro, più o meno consapevole consenso.

Come giustamente fa notare Milena Gabanelli (intervento del 23 marzo 2020 su La7), noi stiamo già dando molto di più, dei nostri dati, rispetto a quello che sappiamo”.

La questione potrebbe essere allora informare correttamente i cittadini che non avranno, sicuramente, nessuna difficoltà ad accettare una limitazione della tutela dei loro dati in cambio della protezione della loro salute e di quella della comunità.

Ma una cosa per noi è certa: ogni vita umana salvata vale sicuramente la limitazione, temporanea, del nostro diritto alla riservatezza e alla libertà di movimento. Soprattutto se riusciremo, come siamo certi, a non fare di una emergenza, di una eccezione, la regola negli anni futuri a totale scapito dei nostri diritti e delle nostre libertà fondamentali.